martedì 27 dicembre 2011

MESS. INVIATO ALL ASSESSORA TISI DA PARTE DEI LAPS SUL PSSR

All’interno della propria attività di analisi e di proposta sulle Politiche Sociali per la Città di Torino, il LaPS ha analizzato il testo del PSSR 2011-2015 predisposto dalla Giunta regionale.
Si sono sviluppati diversi elementi di analisi critica e di proposta, specialmente rilevanti in materia di diritto alla salute e alle cure, di integrazione sociosanitaria.


Osservazioni generali

L’impostazione del Piano denota una inversione culturale in tema di salute e sanità. Si transita da dimensioni di responsabilità sociale pubblica, da organiche forme di partecipazione – coprogettazione per garantire diritti esigibili, opportunità per costruire alleanze trasversali sul bene salute - allo smarrimento nella defizione di garanzie, alla mercificazione dei servizi ove l’unico valore dominate pare essere l’economia nelle transazioni monetarie, ove si afferma l’individualizzazione dei bisogni e dei persorsi assistenziali a scapito di una visione olistica della persona e del/la cittadino/a, a detrimento della comunanza (civitas) sulla salute come fatto etico di effettivo “interesse della collettività”.
In sostanza, le linee politiche del Piano abbandonano la sfida di conciliare l’economia (una sana economia) con gli orientamenti espressi negli ultimi decenni – a livello internazionale e nazionale – orientati a considerare la salute questione educativa, sociale e politica, a de-sanitarizzare la salute, a promuovere corretti interventi per pre-venire rischi e danni, ad affrontare le vecchie e nuove fragilità e vulnerabilità, a superare disuguaglianze e discriminazioni nella fruizione di questo bene comune, per consolidare le strutture sociali e sanitarie del territorio.
 
Nel merito, l’aspetto in assoluto più preoccupante è la determinazione di annullare, o ridurre drasticamente, la partecipazione alla programmazione-gestione-valutazione del sistema sociosanitario regionale:
- partecipazione delle istituzioni democratiche: la Conferenza dei Sindaci è espropriata delle funzioni di valutazione sull’operato delle direzioni generali delle A.S.O.; con questa operazione si configura una gestione totalmente delegata al rapporto tra Regione e Direzioni generali delle A.S.O..
- partecipazione dei diversi attori della sussidiarietà, limitata all’affidamento dei servizi.

Emerge una drastica riduzione e concentrazione dei luoghi decisori e degli interlocutori del sistema, smentendo nei fatti il principio declinato in termini di “libertà di partecipazione”; la partecipazione dei cittadini è relegata a non meglio definite modalità di condivisione dei costi e di rilevazioni di customer satisfaction.
In un contesto in cui non si nominano i soggetti (le persone, donne e uomini, con i loro diritti alla salute e alle cure), sono ignorate (cancellate ?) le sedi naturali di co-programmazione e co-progettazione quali
-        i Profili e Piani di salute, sede in cui Sindaci e amministratori locali dovevano contribuire alla programmazione, forti della loro esperienza e rappresentanza dei bisogni espressi sul proprio territorio;
-        i Piani locali della salute mentale e delle dipendenze con i Comitati di partecipazione nei dipartimenti: coinvolgevano SERT e Servizi Psichiatrici, realizzando l’indispensabile confronto tra professionisti, associazioni, terzo settore;
-        il Governo Clinico: strumento di coinvolgimento dei professionisti nell'individuare alcuni obiettivi sulla prevenzione, sui presidi ospedalieri, sul territorio su cui impegnarsi e su cui ottenere risultati;
-        la Conferenza di partecipazione: attivata a livello di A.S.L. e di A.S.O. come strumento di confronto tra direzione – operatori – forze sociali.

In sostanza, il modello "aziendale" del sistema dei servizi sociosanitari regionali, come configurato dalla proposta di Piano, procura una preoccupante inversione di tendenza sia sul valore politico-culturale della Salute e del Diritto alla Salute e alle cure, sia nel merito, poiché è stato costruito prescindendo dalle realtà concrete dei territori e dagli obiettivi espressi dalle popolazioni e dai loro referenti a livello locale.


Osservazioni specifiche

Sull’ASSISTENZA TERRITORIALE E CURE PRIMARIE

Vantaggi, da verificare
L’intenzionalità verso la promozione dell’assistenza territoriale, vista come garanzia di risposta ai nuovi bisogni di salute, luogo della continuità assistenziale, sfida di efficienza economica delle cure.

Problemi e Rischi, Domande
La centralità dell’assistenza territoriale si scontra con le soluzioni organizzative individuate, a cominciare dalla separazione dei presidi ospedalieri dalle A.S.L. e dalla conseguente complicazione per la continuità assistenziale.
-     Quale differenza sussiste tra Centri di Assistenza Primaria (CAP) e Gruppi di Cure Primarie e Case della Salute previste dal precedente PSSR?
-     Chi saranno i medici di medicina generale impegnati nei CAP incaricati di sviluppare la medicina diiniziativa, di intercettare la domanda di emergenza di bassa complessità, di curare la presa in carico della cronicità?
-     Quale organizzazione e quali risorse per i CAP si pensa di mettere in atto in un contesto che pare fortemente caratterizzato da una vision centrata sugli ospedali ?
-     Si sono avviate verifiche con i professionisti per sondarne la disponibilità a intervenire a livello di CAP?
-     Se le A.S.L. potranno acquistare solo i Livelli Essenziali di Assistenza che fine faranno altri tipi di servizi come gli inserimenti lavorativi o le comunità residenziali?
-     Che ne sarà della sperimentazione sui 23 gruppi di cure primarie e della loro possibile estensione grazie al cofinanziamento del Ministero della Sanità?


Sul RIORDINO ORGANIZZATIVO e l’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA

Elementi generali
-        Il Piano propone di distinguere funzioni di tutela (attribuite alle A.S.L.) da quelle di produzione/erogazione delle prestazioni (affidate alle A.S.O./A.S.O.U.).
-        Per arrivare a questa soluzione si scorporano le A.S.O./A.S.O.U e gli attuali presidi ospedalieri dalle A.S.L. su cui finora insistevano e in cui erano organicamente inseriti. Tutti i presidi ospedalieri e le Aziende Ospedaliere confluiscono poi in sei nuove Aziende Ospedaliere “cluster”, in cui, a seconda del tipo di prestazioni che è in grado di erogare, ogni ospedale viene gerarchicamente classificato come: di riferimento, cardine, di prossimità. Le A.S.L. territoriali diventerebbero 11 con accorpamenti a Cuneo e Torino.
-        Si cita lo sviluppo dell'”empowerment”, senza prevedere alcuno strumento concreto di applicazione di questo principio, ma – al contrario – innestando logiche burocratiche, accentratrici e decisioniste.
-        Si cita l’integrazione socio-sanitaria, ma nel concreto vengono trattati solo aspetti prettamente sanitari, sottovalutando le componenti sociali degli interventi. L’intero documento dedica infatti solo mezza pagina alla dimensione sociale e la sua impostazione mette in discussione i principi della legge 328/2000.
-        E’ ignorata la programmazione sociale, che deve invece mantenersi fortemente interrelata alla programmazione sanitaria.
-        La rete dei servizi socio-sanitari rischia di essere messa in crisi dai tagli lineari del personale.
-        La realizzazione di “un sistema compiuto di sussidiarietà” viene a tradursi nella “cessione dei servizi sociali gestiti direttamente dai Comuni alle Ipab, al privato e al privato sociale”: per la città di Torino questo vorrebbe dire lo smantellamento del servizio sociale pubblico. Oltretutto non è definito chi “governerebbe” il sistema e quale soggetto eserciterebbe funzioni di “regolazione”.
-        La valutazione, finora congiunta tra ASL e servizi sociali, dovrebbe essere riorganizzata: le risorse impiegate dai servizi sociali torinesi in questo tipo di attività non sono commisurate agli effettivi interventi in quanto il percorso si conclude con una mancata erogazione dei servizi per mancanza di fondi.
-        Non si comprende come verrà assicurata la partecipazione delle/i cittadine/i alla costruzione delle politiche sanitarie, sociosanitarie e assistenziali. A tale proposito, si ritiene necessario attivare immediatamente tavoli di concertazione tra Regione e territorio per l’attuazione dei LEA e per la definizione a livello regionale dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, anche ad implementazione delle indicazioni nazionali.
-        Risultano praticamente ignorate le aree dei Servizi di salute mentale e dei Servizi per le dipendenze e si manifestano decise tendenze alla vision ospedalizzante di questi Servizi.
-        Rileviamo, infine, che non esistono problematiche infettivologiche legate alla presenza di popolazione straniera (p. 11 del Piano), anche se bisogna considerare la prevalenza di malattie, come la tubercolosi, presenti nei paese di origine.


Sulla RIORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA OSPEDALIERO

Il piano intende scorporare tutti gli ospedali dalle A.S.L. di territorio prevedendo aziende ospedaliere di vaste dimensioni impostate su una gerarchia ospedali di riferimento – cardine - di prossimità.

Vantaggi da verificare:
-        economie di scala attraverso una maggior efficienza di produzione delle cure ospedaliere, diminuzione del ricorso ai presidi ospedalieri
-        superare il conflitto di interesse tra le funzioni di gestione e quelle di controllo attribuite alle A.S.L.;
-        migliorare l’integrazione inter / intraprofessionale attraverso l'appartenenza alla medesima azienda sanitaria.

Problemi e Rischi:
-        Confusione concettuale tra reti cliniche e reti tra i presidi dentro un’unica azienda.
-        Separazione tra attività A.S.O. e attività A.S.L. specie per la continuità delle cure. Questo rischio è altissimo considerando la scomparsa del dipartimento della continuità previsto dalla pianificazione precedente (non è sufficiente il generico affidamento della continuità al distretto delle A.S.L. e alla Direzione di Presidio delle A.S.O.).
-        Le aziende ospedaliere potrebbero acquistare ancora maggiore potere contrattuale e assorbire ulteriori risorse dai già precari finanziamenti dei servizi territoriali. Quindi la visione è “ospedalocentrica”, anche perché non sono stati effettuati studi nel merito del riparto del budget tra A.O. e A.S.L..
-        Si possono sviluppare ulteriori difficoltà a governare la domanda e a orientare verso il territorio le eventuali economie derivanti da una maggior efficienza ospedaliera (che non è affatto scontata!).
-        Insorgenza di conflitti di interesse poiché il nuovo modello organizzativo trasferisce significative quote gestionali in capo alla Regione limitando alle A.S.O. – A.S.L. mere funzioni attuative degli indirizzi regionali, peraltro con il mandato di organizzare le proprie strutture secondo modelli rigorosi e predefiniti, acquistando servizi nei limiti del budget assegnato.
-        La riorganizzazione proposta avrà necessariamente tempi lunghi poiché ci si prefigge di dividere e riaggregare centri di costo, senza tuttavia prevedere nè definire modalità e strumenti attuativi. Esperienze di operazioni simili dimostrano che in queste condizioni i costi - nel medio periodo – non solo non diminuiscono, ma addirittura aumentano.

Domande:
-        Quali funzioni di prestazione verranno conservate in capo alle A.S.L. in particolare quale sarà il futuro dei servizi di salute mentale, dei servizi per le dipendenze, dei consultori?
-        Sono definitivamente perduti i fondi (oltre 40 milioni di euro) stanziati oltre 10 anni fa dal Ministero della Sanità per la lotta all’AIDS? (forse sono stati impegnati per coprire parte del disavanzo regionale: se è così occorre recuperarli, essendo fondi vincolati).

Proposte
-        Superare la visione di rete come semplice insieme degli ospedali presenti in una determinata area e lavorare alla costruzione di un sistema funzionale vero e proprio. Occorre considerare che la capacità delle aziende territoriali di governare la domanda e indirizzarla verso cure alternative a più basso costo richiede una capacità di negoziazione (a partire dai medici) ancora tutta da costruire; contemporaneamente, le risorse per sviluppare le alternative al ricovero sono ancora tutte da reperire. In questo senso, è indispensabile attivare tavoli di lavoro interprofessionali aperti al contributo partecipativo delle varie componenti della società civile per definire ipotesi di percorsi di prevenzione-cura-riabilitazione delle persone con i relativi protocolli clinici.
-        Si possono realizzare economie con un’attività capillare di sensibilizzazione della popolazione e di governo della domanda indirizzandola verso cure alternative a più basso costo. Ciò, evidentemente, richiede una consistente attività di formazione e negoziazione con i professionisti e le forze sociali rappresentative dell’utenza.
-        Per evitare una suddivisione meccanicistica e aprioristica delle specialità presenti negli ospedali (di riferimento, cardine e di prossimità) occorre muovere dalla rete esistente delle specialità per ridisegnare successivamente il sistema nuovo organizzativo. Ciò considerando la vastità, le diversità orografiche, le reti di mobilità del territorio piemontese: ogni cittadina/o deve poter disporre di strutture in grado di rispondere al suo bisogno in condizioni di accettabile accessibilità.
-        Accorpare solo gli ospedali di alta complessità e di insegnamento, lasciando che gli ospedali generalisti e di comunità rimangano alle Aziende Sanitarie Locali.
-        Le dimensioni della nuova A.S.O.U. San Giovanni Battista pare eccessivamente complessa ed è a scavalco tra diversi Comuni. Si potrebbe prevedere una ulteriore A.S.O. che comprenda come HUB il Mauriziano, in qualità di spoke e ospedali di riferimento il Martini, l’Oftalmico, il Valdese, il Maria Vittoria e l’Amedeo di Savoia.


Sul RAPPORTO CON I PRIVATI

Vantaggi da verificare
Apertura di nuovi settori al mercato privato per quanto riguarda le funzioni di service all’esercizio della vera e propria attività di assistenza sanitaria assistenza (informatica, logistica, economato, immagazzinamento, ecc.).

Problemi e Rischi
Cedere al privato e al privato sociale la gestione di strutture oggi in mano ad A.S.L. e Consorzi - al di là delle valutazioni eminentemente legate a ragioni di opportunità politica nel merito della perdita delle competenze pubbliche per controllare e negoziare - rende altissimo il rischio di drastica riduzione della qualità dei servizi concomitante alla perdita di diritti, di salario, all’aumento della precarizzazione per i lavoratori del settore sociosanitario. Ipotizzare la “cessione” ai privati e al privato sociale dei servizi sociali e sanitari, comporta una gravissima distorsione dei principi di solidarietà e sussidiarietà, la insostenibile rinuncia al controllo pubblico del sistema regionale di welfare con il sensibile pericolo di innesto di sistemi clientelari.
E’ consistente il pericolo che le eventuali economie di scala, qualora si realizzassero effettivamente, avvengano a scapito di componenti decisive quali la qualità del servizio e i diritti del lavoro.
L’introduzione dei ticket sulla base del costo della prestazione rende meno competitivo il sistema pubblico rispetto a quello convenzionato.

Domande
Come garantire che il settore del privato e il settore del privato sociale valutino il nuovo PSSR sulla base della loro rappresentanza sociale (cioè i reali interessi della popolazione destinataria di servizi e prestazioni, specie le componenti più fragili) e non (o non solo) sugli interessi pratici che vengono loro offerti dalla nuova organizzazione ? Come verranno coinvolte queste componenti nei diversi percorsi di coprogrammazione ?
Che ne sarà delle sperimentazioni gestionali (oggetto di specifici accordi con le confederazioni sindacali) avviati dalla precedente Giunta?

Proposte
Proprio considerando la grave crisi finanziaria ed economica che il Paese sta attraversando si rende indispensabile la difesa e la promozione del principio del bene comune Salute e Sanità come diritto sociale inalienabile. La Sanità e l’Assistenza regionale sono legate da obbligazioni giuridiche nei confronti delle/i cittadine/i in quanto titolari di diritti che debbono essere esigibili poiché derivanti da una forma di “credito” sociale e sanitario nei confronti del sistema pubblico. Pertanto i Servizi sociosanitari devono essere gestiti in modo pubblico e, in ogni caso, eventuali cessioni devono avvenire con forme e strumenti che ne garantiscano con estrema efficacia il controllo da parte del sistema pubblico.


Sul FONDO PER LA NON AUTOSUFFICIENZA

Vantaggi da verificare
L’istituzione del Fondo regionale per le non autosufficienze, potrebbe rappresentare una risposta parziale al tema dell’esigibilità dei diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU (art. 19 - Diritto alla vita indipendente e di cittadinanza). Potrebbe anche rappresentare una forma di razionalizzazione, prevedendo che A.S.L. – Comuni - Consorzi socio-assistenziali intervengano in diverse forme per erogare prestazioni e servizi alle persone non autosufficienti, permettendo l’emersione delle diverse potenzialità, consentendo una migliore negoziazione in ordine al mantenimento e all’incremento del fondo stesso.

Problemi e Rischi
-     Rispetto al grave problema delle liste d'attesa si prevede un fondo composto dalle sole risorse sanitarie esistenti. Non se ne conosce l'entità, non ha una destinazione vincolata, non sono assicurati standard di prestazioni certi.
-     Il fondo si limita a compattare diverse fonti di finanziamento oggi esistenti (solo sanitarie e generalmente in contrazione) ma non ne implementa di nuove.
-     Rischio che le ripetute dichiarazioni sulla necessità di liberare risorse dalla sanità ai fini della spesa sociale portino a considerare la non autosufficienza (in quanto cronica) più tra gli obblighi di solidarietà sociale che tra quelli del diritto alle cure. Ciò rappresenterebbe una forte regressione rispetto alla cultura costruita in Piemonte e agli stessi LEA nazionali.

Domande
-     A quanto ammonta il fondo ? Ha una destinazione vincolata?
-     Vengono assicurati standard affidabili rispetto alle prestazioni?
-     Quali i criteri di pianificazione dell'assistenza (es. la valutazione multidimensionale) e di gestione (separata tra A.S.L. e Enti gestori in base ad una ripartizione del fondo che verrà stabilita dalla Giunta)?
-     Come verranno assicurati i diritti esigibili alle persone con disabilità non definite come ‘non autosufficienti’ (ad es. persone con disabilità intellettiva o sensoriale), ma necessitanti di interventi di natura sanitaria, sociosanitaria e sociale?

Proposte
-     Sviluppare progetti per favorire l’autonomia e l’indipendenza delle persone disabili e anziane non autosufficienti.
-     Determinare il Fondo per la non autosufficienza nell’ambito del Fondo Sanitario regionale - da erogare con costi al 50% a carico dell’azienda sanitaria e per il restante 50% a carico dell’ente gestore o dell’utente - per coprire prestazioni garantite da figure professionale di OSS o di Assistente familiare; ciò fermo restando che gli oneri per prestazioni di medicina generale, di medicina specialistica, infermieristiche, riabilitative sono comunque a carico, al 100% , dell’A.S.L..
-     Garantire risposte adeguate alle persone disabili che, pur non riconducibili a condizioni di “non autosufficienza”, necessitano in diverso grado di assistenza.
-     Individuare le risorse necessarie a finanziare gli interventi già previsti obbligatoriamente dai LEA (cure domiciliari, centri diurni, RSA) e i servizi socio-assistenziali per le persone in gravi condizioni di disagio socio-economico, specie se con minori a carico.
-     Prevedere che i criteri di riparto dei fondi destinati agli Enti gestori delle attività socio-assistenziali, non penalizzi l’attuale livello quali-quantitativo delle prestazioni sociosanitarie e sociali.


Sulla COMPARTECIPAZIONE ALLA SPESA

La compartecipazione dei cittadini alla spesa - sia attraverso l'uso dei ticket sanitari “modulati” per reddito, sia attraverso la creazione di una sanità complementare sostenuta da forme di finanziamento integrativo o assicurativo - come prevista dalla Giunta regionale comporta i seguenti rischi:
-     i fondi sanitari integrativi possono minare alla base i principi di universalità e gratuità su cui si fonda il nostro servizio sanitario;
-     il sistema previsto per la compartecipazione dei cittadini alla spesa può provocare una drastica restrizione del diritto alla salute: l’esperienza ha ampiamente dimostrato che il ticket colpisce i malati nel momento del bisogno, non scoraggia i consumi inappropriati (infierisce sul malato, non sul sanitario che prescrive), presenta elevati costi di amministrazione che a volta superano i ricavi;
-     che si reiteri, o addirittura si dilati, la disuguaglianza sul sistema di pagamento dei tickets (che aumentano all’aumentare del costo della prestazione);
-     che con l'assistenza sanitaria integrativa si distrugga la gratuità e l'universalità del diritto. In sostanza, si profila il rischio reale di un sistema in cui occorre pagare per avere servizi di qualità e in cui si forniranno servizi sempre più minimali e dequalificati a chi non è in grado di pagare. Rischio quindi della cancellazione del concetto di progressività: in sostanza, il cittadino che possiede meno risorse deve sperare di non ammalarsi e di non aver bisogno di prestazioni costose!

Domande
Quale ruolo avranno sul mercato finanziario questi fondi assicurativi di sanità integrativa? Come si muoveranno? Chi li gestirà? Con quale responsabilità sociale?

Proposte
Curare che il PSSR preveda l’attuazione di quanto disposto dalle normative leggi vigenti - L.328/2000, D.lgs 109/1998, D.lgs 130/2000 - che nel merito della compartecipazione alla spesa limitano la valutazione della capacità reddituale alla situazione economica al solo assistito.



5 dicembre 2011                                                                                                                              Il Laboratorio Politiche Sociali


Nessun commento:

Posta un commento